Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. I, 1911 – BEIC 1872860.djvu/60

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La musa da un tempo in qua mi (ugge e l’ingegno sta piú svogliato che svegliato. Pure ubidisco a V. S. mandandole quattro sonettacci strascinati a coda di cavai pegaseo. E senza piú la priego ad amarmi e a comandarmi.

Di Ravenna [1606].

XLI

Al cavalier Andrea Barbazza

Si scusa di non andare ad alloggiare presso di lui a causa d’un impegno precedente, e invia un sonetto.

Vostra Signoria mi è troppo cortese ed io le son troppo obligato. Duoimi però d’aver le forze soverchio deboli. Ma, per confessar questa mia debolezza, non intendo d’escluder lei punto dall’auttoritá che ha di comandarmi o privar me stesso del piacere che ho di servirla. L’offerta che V. S. mi fa della sua casa è parte della sua gentilezza infinita, si come il grado ch’io gliene sento e le grazie che gliene rendo son tutti uffici di debito ed effetti di gratitudine. Nel tempo della fiera penso in ogni modo, piacendo a Dio, esser costi almeno per quattro o cinque giorni. Ma son parecchi mesi ch’io mi ritrovo avere quasi promesso al signor Benedetto Mariani di venire ad alloggiar seco. Con tutto ciò la libertá che V. S. mi promette mi moverebbe ad accettare il partito, quando non credessi d’ incommodarla. Comunque sia, giunto che sarò in Bologna, non mi mancherá tempo da servirla e da ricevere i suoi favori. Intanto mando a V. S. un sonettuccio nella materia impostami, fatto come Iddio vuole a punta di sforzo, contra vena; onde potrá vedere come io in esso l’abbia piú tosto ubidita che servita. Se non vi ritro vará parte alcuna di sapere né di sapore, scusi la debolezza del mio ingegno. Ma piena scusa del tutto mi sará la somma cortesia di V. S., a cui per fine riverentemente bacio le mani.

Di Ravenna [1607J.