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XLVI

A Bernardo Castello

Invia la canzone anzidetto.


Ancorch’io ritornassi questi giorni prima da Rimini, dove fui a visitar il signor Cardinal di Gioiosa in nome del padrone, e poi dalle Casette, dove mi convenne adempire il medesimo ufficio col signor duca di Mantova col... (parlo senza riverenza) tutto rotto dalle poste, non mi seppi però contenere ch’io non montassi anche addosso al cavai pegaseo e non corressi una staffetta insino a Parnaso, dove, mena e rimena, sollecitandolo con gli sproni d’oro di Sua Altezza, che me ne richiese, mi venne finalmente fatta questa canzonacela. La sciagurata si presenta innanzi a V. S. con tre inchini, due sberrettate ed un «bacio la mano».

So che ho fatto male a lasciarla comparir costi con gli stracci indosso, ma — Domine , non sum plus — disse lo Scrignuto. Egli mi parve meglio cosi, che lasciarla muffar nel ripostiglio e logorar dalla polvere. Dapoi ch’io veggo che ogni pecora pasce il pan delle muse e che non è moccicone il qual non abbia il grillo d’infilzar versi, potrò anch’io affibbiarmi la giornea e fare il «Nos quoque» impacchiucando cartacce.

La raccomando insomma alla protezione di V. S., la quale so che non men volentieri suole abbracciar la tutela delle povere vedove che degli orfani pupilli. Se alcun di que’ poeti appuntuti e soprastanti della gabella degl’impacci vorrá darle la stretta, toccherá a lei con la sua auttoritá imporgli che per questa volta ponga giú lo staffile, percioché in effetto la poverina non ci ha colpa e certo è piú modesta di me, vergognandosi di venire dove io non mi vergogno di mandarla. Non vorrei ch’ella facesse copia di se stessa se non solo al mio signor conte Guido Coccapani, perché il mio intento è di smaltirla a quel preneipe per zitella; e dubito che s’ella capitasse fra gli unghioni d’alcuni che so io, le roverseerebbuno i panni addosso