Pagina:Martini - Trattato di architettura civile e militare, 1841, I.djvu/242

Da Wikisource.
222 trattato


CAPO II.

Parti interiori dei templi.

Dopo il parlare delle parti esteriori, debba immediate seguire quello delle medie, volendo per ordine procedere dalla cella, parete, lati, ovvero circonferenza principale del tempio: e per questi vocaboli facilmente si può intendere la sua definizione, cioè quello che importi questo vocabolo, cioè cella: dove è da sapere che tre sono le principali figure d’essa, alle quali infinite altre figure si possono ridurre, secondo infinite invenzioni che nella mente dell’architetto possono venire. La prima e più perfetta delle altre è la figura rotonda. La seconda angolare, ovvero a facce di più rette linee composta. La terza e ultima composta di queste due e, come mezzo, dell’una e dell’altra partecipa. Delle quali volendo avere perfetta notizia bisogna dimostrare quali siano le debite loro dimensioni. E benchè la predetta divisione di tre sia sufficiente e vacui (sic) la natura del definito, nientedimeno altra divisione bisogna seguire volendo con facilità dichiarare le proporzioni delle dimensioni.

Dico adunque che due sono le figure le quali ricercano diverse proporzioni. La prima è la rotonda con tutte le figure composte di linee rette che al tondo traggono, come la esagona, pentagona, ortogona e così in infinito moltiplicando gli angoli, non diminuendo. La seconda è la figura oblunga, cioè quadra inequilatera, con tutte le altre figure che a questa si assomigliano. E benchè si potesse assegnare il terzo modo o figura, cioè quello che partecipa dell’una e dell’altra, nientedimeno questa è da pretermettere, perchè, dichiarate le condizioni e proprietà delle due prime, la terza per sè rimane chiara e manifesta: perocchè le parti traenti al tondo, secondo le regole e norme del primo membro, e le oblonghe secondo il secondo membro sono da essere ordinate.

Queste divisioni premesse, è da avvertire che se il tempio fosse rotondo ovvero simile ad esso, l’altezza sua può essere in due modi poco fra sè differenti: il primo che l’altezza sia quanto il diametro della larghezza del tondo, e i due terzi più, sicchè la latitudine debba essere