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V.


la lettera.


Gaetano restò pochi minuti in una indicibile perplessità: combatteva in lui l’istinto dell’onestà e della virtù: la miseria in cui da tanti anni vivea non l’avea giammai indotto aduna cattiva azione. Dobbiam dire impertanto, per far conoscere appieno a’ nostri lettori il carattere del nostro personaggio, dobbiam dire che se la sua vita era scorsa insino a quel momento senza una colpa, in lui non era inerito di profonda fede che avesse alla virtù: troppo amareggiata era stata la sua breve esistenza, perchè i saldi principii di morale non dovessero crollar nel suo animo; troppo ei disprezzava la razza umana per non ammettere in tutte le azioni degli uomini un principio d’egoismo e d’interesse: troppo la sua fisica deformità opponevasi alla poesia della virtù e degli alti e sublimi concetti dei bello. Qual’era dunque in lui il principio, pel quale sottoponevasi ad una vita laboriosa, infelice, ricolma di ogni sofferenza, ma pur non contaminata da vizii o delitti? Ciò si era perchè Gaetano (a suo tempo ne diremo la precipua cagione) rifuggiva finanche dal pensiero di un furto, ed avrebbe preferita qualunque altra infamia a quella di lordarsi le mani involaudo la benchè minima cosa.

Questa volta per tanto ogni ripugnanza era