Pagina:Mastriani - La cieca di Sorrento 2.djvu/99

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mane creature e di aver credulo per un istante alla felicità!»

Gaetano diè un passo verso il balcone, traballò sulle ginocchia e si appoggiò al muro.

— Non più vederla! Non sentirne più la voce! Morir maledetto da lei! Dio, Dio mio, che cosa feci per esser tanto infelice? Se un delitto fu commesso dal padre mio, non l’espiò quegli con morte infamante? Non l’espiai forse anch’io con ventisette anni delle più crudeli privazioni? Non l’espiai veggendo a morire di fame una madre, di tisi un’amata sorella in un ospedale? Non mi gettasti tu nel mezzo delle generazioni, come un ludibrio, come un’ironia, una caricatura? Non ponesti tu nel mio cuore questa fiamma ardentissima di amore per farmene un rogo onde s’incende oggi la mia esistenza e l’anima mia?.. Perdona oh... perdona alle mie stolte parole.... La tua volontà sia fatta in terra, come nel coro degli angioli in cielo! Perdona! perdona; io son troppo infelice!»

Gaetano si sciolse in lagrime dirotte e restò lunga pezza colla fronte abbandonata sulle palme delle mani.

La Religione parlava ora solennemente al suo cuore; ei sentiva pentimento sincero delle colpe della sua vita; rinnegava quello scetticismo che gli aveva amareggiata l’esistenza; comprendeva che la mano di Dio colpiva in lui il delitto paterno; tutta la Verità della Fede, che le sventure della giovinezza aveano offuscata nell’anima sua, di presente gli si appalesa-