Pagina:Mastro-don Gesualdo (1890).djvu/296

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lei s’era rimessa a cucire. Allora la Rubiera si chinò di nuovo verso la stradicciuola, cogli occhiali lucenti, ed entrambi rimasero a guardarsi un momento così, come due basilischi.

— Se volete dirmi qualche cosa, salite pure.

— Nulla, nulla, — rispose Ciolla; e intanto s’avviava verso il portone. Rosaria tirò la funicella e si mise a borbottare;

— Che vuole adesso quel cristiano? A momenti è ora d’accendere il fuoco. Ma intanto si udiva lo schiamazzo degli animali nel cortile e i passi di Ciolla che saliva adagio adagio. Egli entrò col cappello in testa, ossequioso, ripetendo: Deo gratias! Deo gratias! lodando l’ordine che regnava da per tutto in quella casa.

— Non ne nascono più delle padrone di casa come voi, signora baronessa! Ecco! ecco! siete sempre lì, a sciuparvi la vista sul lavoro. Ne hanno fatta della roba quelle mani!... Non ne hanno scialacquata, no!

La baronessa che aspettava coll’orecchio teso cominciò ad essere inquieta. Intanto Rosaria aveva sbarazzato una seggiola del canovaccio che vi era ammucchiato sopra, e stava ad ascoltare, grattandosi il capo.

— Va a vedere se la gallina ha fatto l’uovo, — disse la padrona. E tornò a discorrere col Ciolla, più