Pagina:Matilde Serao Evviva la vita.pdf/19

Da Wikisource.

pensava e non diceva, Lucio Sabini. La sua testa si era chinata, un poco, sul petto e le palpebre abbassate celavan lo sguardo.

— Vi lasciano venire, però, a Saint-Moritz ? - chiese, a bassa voce, Vittorio, sogguardando il suo compagno di viaggio, quasi temesse di essere indiscreto.

— Mi lasciano venire... - rispose l'altro, con voce velata di amarezza. - Non si può viaggiare, insieme, in estate... bisogna obbedire a certe con venienze di famiglia... osservare certi riguardi... tante cose, Vittorio. E io ho due mesi di libertà, due bei mesi, capite, due grandi mesi, sessanta volte ventiquattr'ore, in cui sono libero, m'illudo di esser libero, credo di esser libero, sono libero!

Queste parole gli erano uscite prima con tristezza, poi, con crescente violenza, dalla bocca: e le ultime, eran suonate come un grido di rivolta di un cuore oppresso dalla sua schiavitù.

— Ella vi ama, però - disse con tono sommesso e con dolcezza, Vittorio Lante.

— Sì: mi ama - assentì Lucio, sordamente.

— Da molto tempo, mi pare ?

— Da una eternità: da dieci anni.

— E voi, l'amate?

Lucio Sabini, nell'ombra, fissò lo sguardo in volto al suo compagno. E soggiunse, senz'amarezza, senza gioia, con una voce inespressiva:

— Io l'amo.

Lentissimamente, con uno squillo fine e lieve delle campanelle dei cavalli, la vettura percorreva