Pagina:Maturin - Melmoth, I, 1842.djvu/387

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Io mi sforzava di ritornarmene, continuando a camminare colle mani e coi piedi, al luogo d’onde io era venuto, e vi riuscì. Credo, l’aneddoto di cui mi era sovvenuto, producesse sopra di me il medesimo effetto, che io letto aveva nella narrazione del fatto, e sentì realmente una contrazione nelle mie membra. Era uscito dallo stretto passaggio senza sapere il come, e bisogna bene che io facessi uno di quegli sforzi, di cui l’energia è tanto maggiore, chè non la sentiamo neppur noi medesimi. Checchè nè sia, io era in salvo, ma spossato e quasi senza respiro, con in mano la lampada che stava per ispegnersi, riguardando a me d’intorno, e non veggendo che le nere ed umide muraglie, e gli archi della vôlta che sembravano abbassarsi sopra di me, onde privarmi eternamente della speranza e della libertà. La lampada andava estinguendosi a poco a poco; io la contemplava fisso. Sapeva che la mia vita, e ciò che mi stava ancora più a cuore, la mia liberazione, dipendeva dalla cura che avrei