Pagina:Maturin - Melmoth, II, 1842.djvu/19

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locità, che i nostri piedi quasi non imprimevano orma sul terreno. Ma all’approssimarci del muro poco mancò che in me non venissero meno il coraggio e le forze. Mi accostai all’orecchio del mio compagno per dirgli: Non vi pare di vedere de’ lumi alle finestre del convento? — No, i lumi sono negli occhi vostri. È un effetto della oscurità dalla quale siamo testè sortiti, dello stento e del freddo: venite. — Ma io sento il suono delle campane. — Queste campane sono nella vostra immaginazione. Lo stomaco vuoto è il campanaio, che le suona. Presto; vi par cotesto tempo da perdere in inutili ciance? Venite, venite; non vi aggravate tanto sul mio braccio.... Non cadete se è possibile... oh cielo! gli vien male...

Queste parole furono le ultime, che io udissi. Era io caduto, secondo che la penso, nelle sue braccia. Egli trascinò fino al muro, ed avvolse le mie dita irrigidite nelle corde della scala. Cotesta azione mi fece tosto ritornare in sentimento, ed incominciai a salire, senza sapere ancora