Pagina:Maturin - Melmoth, II, 1842.djvu/203

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era renduta più rimarchevole ancora dalla ruvidezza della rupe contro la quale ella si era appoggiata.

Lo straniero se le avvicinò senza che se ne accorgesse; il rumore dei suoi passi era ricoperto dal muggito de’ flutti, dal soffio de’ venti; ma nell’avanzarsi sentì degli accenti, che lo fecero restar maravigliato. Si arrestò per ascoltarli; era la povera indiana, che senza conoscere se senza temere il suo pericolo, cantava una specie d’inno selvaggio di disperazione e amore. Eccone alcune stroffe.

«La notte diviene più oscura, ma questa oscurità cosa è mai in paragone di quella, che la sua assenza ha sparso sul mio spirito? Le folgori brillano intorno di me, ma che sono elleno poste al confronto dello sfavillare degli occhi suoi quando mi abbandonò corrucciato?

«Io non ho realmente vissuto, che alla luce della sua presenza; a che tardo a morire ora, che questa luce mi è tolta? Sdegno delle nubi, che ho io a temere da voi? Voi potete ridurmi in polvere, come vi ho veduto