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Pagina:Memorie storiche civili, ed ecclesiastiche della città, e diocesi di Larino.djvu/463

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362 MEM. STOR. CIV. ED ECCL.

difende il porto da maestro, da tramontana, e da greco; come pure questo porto è difeso da tutte le Isole, e da’ scogli, comecchè S. Domino lo guarda da ponente, e parte da maestro; S. Nicola da greco, e da levante, e parte da sirocco, recando la bocca di esso larga più di mezzo miglio, per la volta di mezzo giorno, e di libeccio, di manieracche l’acqua del mare viene ad esser chiusa.

10. La quinta è uno scoglietto assai picciolo, e di niun momento, e si chiama la Vecchia. Nelle sue caverne annidano gl’ucelli, de’ quali si è parlato di sopra e che diedero motivo alle favole. De’ quali parlando Plinio lib.10. cap.44. mosso da qualche fama volgare, scrive, che essi sono molesti a’ Forastieri, che passano da quel luogo, e la perdonano a’ soli Greci, può dirsi anche favoleggiando, forse come Paesani. Colà si chiamano Arenne, ma propriamente tengono il nome di Artenne, le virtù de’ quali per l’olio, che fè ne cava, e le loro figure furono divulgate da Francesco Redi nel lib. delle naturali sperienze, che con tanta sua lode, e utile della medicina sono state fatte, e date fuori.

11. Il P. Coccarella, di cui appretto, nel lib.1. cap.4. descrive a minuto quanto di sopra intorno alli suddetti ucelli, ed illustrando quello Paese, stimiamo non trascurare le sue parole: Cotesti ucelli chiamati di presente Artene più grandi alquanto delle Anatre, le piume sopra la schiena sono di colore azzurro verdeggiante, bianchi sotto il petto, il capo grasso, e ritondo, gl’occhi risplendenti come fuoco, il rostro runcinato alquanto, le gambe corte, i piedi gialli cartilaginati come l’oche, le ali alquanto longhe. E tuttocche siano altrove ucelli di tal forte, trovansi nondimeno in maggior quantità in queste isole Diomedee, i quali annidano nelle caverne, e buche delle pietre, bastando loro un sol uovo da covare. Di giorno pascono nell’alto mare, e la notte nelle caverne, e fra sassi si rinchiudono. Nel tempo poscia della state, di notte fanno risuonare d’ogni intorno li scogli col loro grido, o canto simile al pianto de’ Bambolini nella culla, in guisa che chi non ne avesse cognizione giudicherebbe piuttosto che bambini nella culla piangessero, che ucelli cantassero. Nell’Autunno i loro figli sono assai grassi, e allora gl’Abitanti dell’Isole li cavano dalle caverne con certi uncini di ferro, ma non già per mangiarli, essendo la carne di cattivo odore, talchè è stomacosa, sola da farne grasso, che raccolto, e conservato a varie infermità giova, cioè a contrazione di nervi, venente da frigidità provato da molti, alla debbolezza cagionata da lunga infermità, ed a’ dolori di podagra mirabilmente. In fatti si manda fuori detto grasso, e viene molto ricercato, e in quei contorni è in gran stima per gl’effètti, che se ne sperimentano.

12. Sono quest’Isole abbondanti, e fertili, oltre ad un aria che si gode perfetta, chiara, e amena, e il P. D. Benedetto Coccarella, parlando della principale dice: Il terreno è assai grasso, e fertile, avendo i campi pieni di varj àlberi d’olivi, e viti in particolare, in guisa che (se egli è lecito dire) alla bell’Isola di Candia, già del gran Giove nutrice, puossi aggualiare. Che ciò sia vero, vi si raccoglie vino di tal perfezione, che avvanza il Falerno. l’olio è sì dolce, che può adequarsi quello di Venafro (commendato tra gl’altri da Plinio, da Varrone, da Strabone, da Orazio, da Marziale, e da Giovenale) usandolo nelle vivande indifferentemente in vece di butiro. Sonavi fichi di tal gusto, e sapore