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dei longobardi e del chiostro e chiesa di s. sofia 359


L’idolatria dei Longobardi di Benevento si protrasse sino al tempo del Duca Romoaldo, il quale adorava in segreto una vipera d’oro. Nel tempo che la città di Benevento era assediata da Costante, S. Barbato, che poi fu Vescovo illustre di questa Chiesa, seppe istillare nell’animo di Teodorata, moglie di Romoaldo, i sentimenti più vivi della cattolica fede, sino a persuaderla di consegnargli di nascosto del marito il famoso idolo ofitico di oro, della cui materia fe’ costruire un calice ed una patena1.

Lo stesso S. Barbato riuscì a fare abbattere il celebre arbore fuori la città, dove i Longobardi idolatri riunivansi a sciogliere i loro voti; il quale arbore per secoli ha tenuto viva la superstiziosa leggenda delle streghe, con poco decoro di questa illustre città. S. Barbato vi si recò in forma solenne a fare gli scongiuri, non per le streghe, ma per l’annientamento della idolatria2. È fatto accertato che da quel giorno i Longobardi abbandonarono il culto degli idoli, e abbracciarono con fervore la fede cattolica.

La stessa Duchessa Teodorata divenne sì fervente cattolica, che fondò fuori le mura della città, al di là del ponte Leproso, una Basilica in onore di S. Pietro con Monastero di Monache3. Già vedonsi adunque i Longobardi da idolatri e persecutori della Chiesa, passare ad essere i più ferventi cattolici, e da distruttori dei cenobii divenire essi stessi i più asceti cenobiti, per opera principale delle loro femmine, la cui pietà e religione assurse alla più sublime maestà.

A Romoaldo successe Grimaldo II, che dominò appena tre anni; e quindi il fratello minorenne di costui Gisulfo, sotto la tutela di sua madre Teodorata. Questa, emulando le virtù della re-

  1. Stef. Borgia, Mem. Istor. di Benev. II, pag. 276 e 277.
  2. Stef. Borgia (op. cit. I. pag. 212 in nota) asserisce che il sito del celebre arbore sia stato in contrada la piana della Cappella del territorio Beneventano, e propriamente là dove surse una Chiesa dal titolo di S. Maria in Voto, per ricordo del fatto narrato.
  3. P. Diacono, op. cit. lib. VI cap. I. Questo Monastero delle Monache Benedettine esistette sino a Carlo d’Angiò; nel qual tempo le soldatesche di costui vi commisero atti abbominevoli, dopo la sconfitta di Manfredi. Allora le Monache, vistesi insicure là fuori, lo abbandonarono. Oggi ancora quel sito denominasi S. Pietro da fuori, per distinguere quel Monastero dall’altro omonimo entro la città, abolito da pochi anni, e ridotto a magazzino dei tabacchi.