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da base alle colonne. All’esterno uno stretto archivolto a sesto acuto accenna la bifora. In due facciate queste bifore sono state distrutte per dar posto alle campane. Questo campanile non fu mai menato a compimento. Come dissi, parlando del teatro antico1, la maggior parte dei massi che lo compongono furono tolti barbaramente al teatro stesso; quindi la sua costruzione fu cagione di due mali, della deturpazione della facciata del tempio e della distruzione di buona parte di quel grandioso monumento romano.

Sulla facciata orientale di questo campanile vedesi, a pochi metri di altezza, incastrato un marmo romano portante in bassorilievo di squisito lavoro un maiale infulato e laureato. Esso non è che un ricordo del sacrifizio a Cerere, ma gli scrittori beneventani vi hanno voluto, con libera fantasia, scorgere il favoloso cignale di Caledonia; per cui De Vita, riportandone una incisione sul frontespizio del suo Thesaurus antiquitatum Beneventanarum, vi mette sotto questi versi:

Aetoli Diomedis opus felix Beneventana
Quis neget? Aetolus stemmata fecit aper.

E su di questa poesia si credette doveroso dalle Autorità cittadine incastonare questa bestia nello stemma della città, il quale da prima era rappresentato da uno scudo quadripartito. Ma pare che ci si tenga ancora molto a questo animale, considerando che da poco uno stemma simile si è fatto lavorare a nuovo e lo si è rizzato sul portone del palazzo di città.

Torniamo di nuovo nell’interno del tempio. La Tav. LIX, come dissi, rappresenta lo stato della cattedrale prima del tremuoto del 1688. A questa vedonsi innestati la basilica di S. Bartolomeo e l’Archiepiscopio. Senza occuparci delle variazioni apportate da quell’epoca alla distribuzione del palazzo arcivescovile ed ai locali annessi, noto che le cinque navi attuali del Duomo esistevano allora come oggi, e che dietro al campanile esisteva un′altra specie di nave destinata allora per cappellone del SS. Sagramento. Le colonne delle navi minori vi si vedono spa-

  1. Vedi pag. 341 di quest’opera.