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atto primo | 115 |
SCENA XV
Emira, Medarse e Laodice.
Medarse. Avresti mai creduto
in Siroe un traditor?
Laodice. Tanto infedele
lo prevedesti e temerario tanto?
Emira. E qual viltade è questa
d’insultar chi non v’ode? Alfin dovrebbe
piú rispetto Medarse ad un germano,
a un principe Laodice:
non sempre delinquente è un infelice.
Medarse. Che pietá!
Laodice. Che difesa!
Medarse. E tu finora
non l’insultasti?
Laodice. Or qual cagion ti muove
a sdegnarti con noi?
Emira. A me lice insultarlo, e non a voi.
Medarse. Cosí presto ti cangi? Or lo difendi,
or lo vorresti oppresso.
Emira. A voi par ch’io mi cangi, e son l’istesso.
Laodice. L’istesso! Io non t’intendo.
Medarse. Eh! non produce
sí diversa favella un sol pensiero.
Emira. So che strano vi sembra, e pure è vero.
Vedeste mai sul prato
cader la pioggia estiva?
Talor la rosa avviva
alla viola appresso:
figlio del prato istesso
è l’uno e l’altro fiore,
ed è l’istesso umore,
che germogliar li fa.