Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/25

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atto primo 19


Iarba. A questa legge io resto.
Selene. Quell’Enea, che tu cerchi, appunto è questo.
Iarba. Ah! m’involasti un colpo,
che al mio braccio offeriva il ciel cortese.
Selene. Ma perché tanto sdegno? In che t’offese?
Iarba. Gli affetti di Didone
al mio signor contende:
t’è noto, e mi domandi in che m’offende?
Selene. Dunque supponi, Arbace,
che scelga a suo talento il caro oggetto
un cor che s’innamora?
Nella scuola d’amor sei rozzo ancora. (parte)

SCENA XII

Iarba, Araspe, poi Osmida.

Iarba. Non è piú tempo, Araspe,
di celarmi cosí. Troppa finora
sofferenza mi costa.
Araspe.  E che farai?
Iarba. I miei guerrier, che nella selva ascosi
quindi non lungi al mio venir lasciai,
chiamerò nella reggia:
distruggerò Cartago, e l’empio core
all’indegno rival trarrò...
Osmida. (con fretta)  Signore,
giá di Nettuno al tempio
la regina s’invia. Sugli occhi tuoi
al superbo troiano,
se tardi a riparar, porge la mano.
Iarba. Tanto ardir!
Osmida.  Non è tempo
d’inutili querele.