Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/64

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58 i - didone abbandonata


Selene. Pietá del nostro affanno!
Iarba. Or potrai con ragion dirmi tiranno.
               Cadrá fra poco in cenere
          il tuo nascente impero,
          e ignota al passeggero
          Cartagine sará.
               Se a te del mio perdono
          meno è la morte acerba,
          non meriti, superba,
          soccorso né pietá. (parte)

SCENA XVIII

Didone, Selene ed Osmida.

Osmida. Cedi a Iarba, o Didone.
Selene. Conserva con la tua la nostra vita.
Didone. Solo per vendicarmi
del traditore Enea,
che è la prima cagion de’ mali miei,
l’aure vitali io respirar vorrei.
Ah! faccia il vento almeno,
facciano almen gli dèi le mie vendette;
e folgori e saette,
e turbini e tempeste
rendano l’aure e l’onde a lui funeste.
Vada ramingo e solo; e la sua sorte
cosí barbara sia,
che si riduca ad invidiar la mia.
Selene. Deh! modera il tuo sdegno. Anch’io l’adoro,
e soffro il mio tormento.
Didone.  Adori Enea!
Selene. Sì, ma per tua cagione...
Didone.  Ah, disleale!
Tu rivale al mio amor?