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280 xv - ciro riconosciuto


Cambise.   (Io son perduto.)

Mitridate. Siam soli. (tornando al re)
Astiage.   Or di’: serbi memoria ancora
de’ benefizi miei?
Mitridate.   Tutto rammento.
Di cento doni e cento
io ti fui debitor, quando m’accolse
la tua corte real. Quest’ozio istesso
dell’umil vita, in cui felice io sono,
è, lo confesso, è di tua destra un dono.
Astiage. Se da te dipendesse
la mia tranquillitá, se quel ch’io voglio
fosse nel tuo poter, dimmi: potrei
sperarti grato?
Mitridate.   (Ah! Ciro ei vuol.)
Astiage.   Rispondi.
Mitridate. E che poss’io?
Astiage.   Questa corona in fronte
sostenermi tu puoi. Sta quel, ch’io cerco,
nelle tue mani. Ad onta mia serbato
Ciro, tu il sai...
Mitridate.   (Misero me!)
Astiage.   Nel viso
tu cambi di color! La mia richiesta
prevedi forse e ti spaventi?
Mitridate.   Io veggo...
Signor... pietá! (s’inginocchia)
Astiage.   No, non smarrirti: è il colpo
facil piú che non credi. Al falso invito
Ciro credé. Giá sul confin del regno
con pochi sciti è giunto, e l’ora attende
al venir stabilita.
Mitridate. (Parla del finto Ciro: io torno in vita.)
Astiage. Sorgi. (Mitridate si alza) Tu sai del bosco
ogni confin: può facilmente Ciro
esser da te con qualche insidia oppresso.