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P R I M O. 14

E poi che in me conosci tanta fede,
Quant’è bellezza in te, non voler, ch’io
Mieta dell’Amor mio sì tristo frutto.
Fill.Teco doler mi posso del tuo male;
Ma già non posso, come ben vorrei,
Darti cortese aita; o fiera sorte,
Soccorrer ti vorrei, ne sò in qual modo.
Igi. Vedi, s’è grande la miseria mia,
Leggiadra Filli, ch’io
Sento maggior dolore,
Per vederti pietosa del mio male,
Che non farei, se tu crudel mi fussi,
Cessa dunque cor mio,
D’esser pietosa in così fiera guisa.
Fill.Non ti dispiaccia Igilio, ch’io ti mostri
L’affetto del mio cor, e a grado prendi,
Ch’io dolor senta, non potendo amarti;
Nè voler più da me di quel, ch’io posso.
Igi.Gratie ti rendo del cortese affetto;
Ma poi, che da sì chiara, & alma luce,
Onde vorrebbe uscir la vita, n’esce
La morte, posso ben misero dire,
Che per me la pietà fatta è crudele:
Ma non potrà mai far maligna sorte,
Ch’al par della mia vita ogn’hor non t’ami.
Fill.Et io voglio pregarti,
Che non t’incresca, s’io
Non posso darti il premio
Di quell’amor, che di portarmi affermi;


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