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S E C O N D O. 21

Che tra quanti mi tengo amati cani,
Questo m’è assai più caro, e più gradito,
Il quale con ragione in vero porta
Di veloce torrente il nome altero;
Poi che fiera non è per questi boschi,
Sia pur quanto si vuol fugace, e presta,
Ch’egli correndo non la fermi, ò prenda,
O sia nel bosco, ò corr’al monte, o ’l piano.
Ura.Se di noiarmi homai resti, Mirtilla,
Donar ti voglio un vaso, ove vedrai
Giove da un canto trasformato in Cigno
Che stà lieto nel sen de la sua Leda;
E da l’altro il vedrai, che per Calisto
Hà preso di Diana il viso, e i panni,
Per il bel Ganimede il vedrai poscia
Da l’altra parte in Aquila cangiato,
E per Danae da l’altra in pioggia d’oro.
Mir.Onde nascesti? d’un alpestre scoglio?
Ti diedero le Tigri Hircane il latte?
Ura.Hor sei tu nata in fra i gelati monti?
Ti partorì, crudele, una Leonza?
Ard.Hor sei tu nata d’un aspide sordo,
Che intender non mi vuoi? dico che t’odio.
Ura.Hor sei tu nata per noiarmi sempre,
E Stimolarmi ogn’hor? dico che t’odio.
Mir.O più saldo, che marmo al mio gran pianto.
Ura.O più fredda, che neve, al mio gran foco.
Ard.O più noioso, che Cicala stridula,
Resta ne la mal’hora, ch’io mi parto.


D         Per