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CAPITOLO XXI.

Le Pratiche religiose.

Il malcostume andava a braccetto col bigottismo. I nostri nonni, bisogna convenirne, erano più religiosi di noi, ma erano anche parecchio scostumati. Si capisce, che in loro il sentimento religioso non andava al di là dell’epidermide, e che se si accendeva un moccolo a Dio era precisamente perchè nello stesso tempo se n’erano accesi due al diavolo: ma erano religiosi, baciapile, frequentatori di chiese, assidui alle prediche, biascicatori di rosari, osservatori dei digiuni e parlavano con rispetto dei preti, quando non ne dicevano corna. Soltanto, quando dovevano dirne corna, lo dicevano sottovoce. Noi lo si dice alto.

Peraltro, i preti frequentavano allora tutte le Società, ove occupavano un posto fra quello del maggiordomo, e quello dello staffiere. Quando non erano i pedagoghi del signorino, erano gli uomini d’affari del signor conte o del signor marchese, o i segretari intimi della signora contessa della signora marchesa; qualche volta lo erano insieme delle madri e delle figliuole. Quando poi il prete era letterato e sapeva fare con garbo un sonetto e tradurre con fedeltà non scevra d’una certa eleganza un’ode di Orazio o un epigramma di Marziale, allora esso toccava il cielo col dito: era canonico e, per soprassello, accademico della Crusca, ove, per entrare, non occorreva ch’ei fosse tagliato nella stoffa del canonico Petrarca, o di quell’altro canonico che scrisse l’Orlando Innamorato. Laonde la bacchettoneria trionfava. I tribunali di penitenza erano frequentati, perchè si sapeva che una raccomandazione del confessore poteva fare ottenere un impiego o un sussidio. Si metteva dell’ostentazione a farsi vedere in chiesa, all’ora degli uffici divini, perchè