Pagina:Misteri di polizia - Niceforo, 1890.djvu/348

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è di sicuro favorevole al Capponi. Questi, benchè vissuto in pieno secolo XIX, a noi sembra un toscano della decadenza medicea rinvigorito di un po’ di liberalismo che a seconda i tempi va dall’enciclopedismo volterriano della seconda metà del secolo passato al neo-guelfismo della generazione che rinnegando il vecchio pensiero politico italiano preparò le aberrazioni del 1848. Sfornito d’un carattere tutto d’un pezzo, in fama di patriotta senza che per la libertà avesse mai riportato, non diremo catene o esili, ma nemmeno una di quelle innocue paternali che la mite polizia toscana non risparmiava, di tanto in tanto, ai cittadini modernamente pensanti, in fama di letterato senza che il suo nome figurasse in fronte ad un lavoro importante, in fama d’uomo di Stato della vigorìa di coloro coi quali operarono i suoi maggiori, mentre predisse guai e sventure per la rivendicazione di Roma all’Italia, — Gino Capponi, col suo amore platonico della libertà, col suo amore, piuttosto da gentiluomo ozioso che da letterato, per le lettere e gli uomini di lettere, colle sue contraddizioni, colle sue simpatie d’oggi ch’erano le sue antipatie del giorno prima, è una specie di dilettante in tutto: dilettante in letteratura, dilettante in religione, dilettante in politica.

Meno male se nel Capponi non fosse degno di rimprovero che il solo dilettantismo. Il Capponi è in permanente contraddizione con sè stesso. È sempre lo stesso Capponi che ha l’uffizio di smentire e contraddire il Capponi. Affacciatosi alla vita pubblica coll’amicizia di Ugo Foscolo quando il poeta zacintio iniziò in Italia la dolorosa e lunga serie degli esili per ragione politica, si stringe subito in intima relazione con Federigo Confalonieri che allora cospirava contro l’Austria; diventa l’amico del conte Luigi Porro, di Silvio Pellico, di Pietro Borsieri, di Giuseppe Pecchio, che come il Confalonieri, cercavano d’infrangere il giogo della tirannide italiana e straniera; nello stesso tempo diventa il corrispondente fiorentino di Carlo Alberto, che insieme alla gioventù piemontese preparava colle scuole elementari ed altre simili istituzioni educative il moto che doveva miseramente finire colla fuga dello stesso principe e l’esilio