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Il fuoco. 71

Mercurio pur consiglia a Prometeo infelice la prudenza; il titano soggiunge:

 Inutil noia
 Tu m’arrechi, e alle sorde onde favelli,
 No, mai non entri in tuo pensier, ch’io l’ira
 Paventando di Giove, assumer voglia
 Cor femminile, e, con donnesco rito,
 Tender al ciel le palme, a scior miei lacci
 Supplicando colui che tanto abborro.
 Troppo lunge io ne sono.

Allora Mercurio minaccia a Prometeo i nuovi mali che lo percoteranno in breve, per la vendetta del nume nuovamente offeso; la rupe sarà spaccata dal fulmine, Prometeo precipitato in un abisso, poi tornerà di nuovo su e l’aquila di Giove verrà a lacerargli le membra, a cibarsi del suo fegato. Le ninfe atterrite fanno un’estrema prova di tentare Prometeo a piegarsi per allontanar dal suo capo quella nuova sventura; ma Prometeo ch’è il tipo dell’uomo giusto, tenace, impavido d’Orazio, non cede, e l’ultima volta rivolto alle ninfe esclama:

 A me costui
 Gridò cose già note, e i vituperii
 Di nemici a nemico onta non fanno.
 Piombi su me l’ignicrinito fulmine.
 Il ciel con tuoni e con urtar di fieri
 Venti s’irriti; orribile uragano
 Scuota la terra dall’ime radici,
 E con tremendo strepito confonda
 L’onda del mare e l’alte vie degli astri,
 E giù nel negro Tartaro travolga
 Ne’ vortici fatali il corpo mio;
 Far nondimeno ei non potrà ch’io muoia.

Allora Mercurio vuole almeno sottrarre Pro-