Pagina:Morino - Ai militi concittadini.djvu/7

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glio acciecati non si erano avveduti ancora, che Roma da lunga stagione disprezzata ed oppressa, ridestato avea la virtude antica, e scosso dalla cervice maestosa quel giogo pesante di sventure, le quali se bastarono a farla gemere, non però furon bastevoli ad avvilirla giammai. Ma quel sommo Genio, ch’è Pio, avea bene avvertito, perchè opera della sua saviezza e de’ suoi vasti pensieri, che Roma ravvivato avea novellamente la nobile fiamma del valor primiero. Vide ch’Ella bastar poteva a se sola; vide che sull’impavida fronte le splendeva ancora l’invidiato diadema; vide che nel petto matronale portava scritto ancora - Io sono la Regina dell’Universo. Quindi i Romani chiamava alla difesa dell’Altare e del Trono, alla custodia de’ civili diritti, al mantenimento della pubblica tranquillità, alla tutela d’ogni privato, e pubblico bene. Alla sua voce tutti muoveano volonterosi ed affollati a dare il proprio nome, beati reputandosi di servire un Sovrano, cui chi non ama, egli è meno che uomo. Questa provvida disposizione da Dio spirata, annunziata da PIO, dal Romano popolo più che volentieri abbracciata, fu lo scudo che salvò Roma dalle inique macchinazioni degli empi.

Era innoltrata la notte del 15. Luglio, ed un timore non vano d’imminente sciagura, agitato teneva il cuor d’ognuno. Quando voce imperiosa i novelli militi incoraggiava a vestire le armi per la difesa comune. Il fatto andò quasi del pari colla parola. Bello fu vedere gli arruolati involarsi sull’istante agli amplessi de’ loro cari, uscire in fretta da’ paterni tetti, correre non solo, ma volare intrepidi a cingersi dalle armi, e mettersi di presente in guardia per la difesa del Sovrano, della città, delle famiglie, delle sustanze. Che più? Le armi