Pagina:Morselli - L'uccisione pietosa (L'eutanasia), Torino, Bocca, 1928.djvu/145

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della Grande Nemica, quell’istinto possa risorgere prepotente e farci fino all’ultimo momento combattere e anche sperare di sfuggirle. Non è quasi mai la paura di “esser morto„, ossia di trovarsi sbalzato nell’Al di là, ciò che assilla il pensiero del moribondo, salvo che non venga a turbarlo la credenza del fantastico premio o castigo nell’Altra Vita: è proprio la paura di “morire„, la paura del “passaggio„. Niuno vi pensa a mente calma in mezzo alla salute più florida; niuno vi si avvicina senza un intimo, profondo fremito del cuore; ognuno pensa all’agonia come ad un periodo di inimmaginabili sofferenze. È vero che la Medicina può fino ad un certo punto molcere i dolori della malattia in corso, ma si ha ragion di dubitare che essa possa fare lo stesso a riguardo dello stato agonico, ove questo fosse veramente così penoso come al Moro e a parecchi eutanatisti è sembrato.

La frase comune “lottare con la Morte„, è condensata nel termine “agonia„, che vuol proprio dire “lotta„; ma toltine pochissimi casi, per i quali è permesso supporre che la Vita se ne vada in tale lucidità di coscienza da poter comprendere l’approssimarsi della sua fine, nella immensa maggioranza delle morti la lotta è semplicemente organica, non psichica; anzi, può ben dirsi che l’agonia cominci con lo spegnersi della luce del cervello, ossia con la cessazione della funzione della sua grigia corteccia. E neanco dopo la