Pagina:Morselli - L'uccisione pietosa (L'eutanasia), Torino, Bocca, 1928.djvu/148

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come già dissi, sono di questo genere; appartengono alla Fisiologia anzichè alla Psicologia, e costituiscono una difesa involontaria, subcosciente, fors’anco incosciente; non si rappresentano alla coscienza vigile in quanto non arrivano ai centri più alti dello psichismo, o, se ci arrivano, li trovano ormai in condizioni tali da non potervi più risvegliare la consapevolezza. Ne consegue che non può esservi “dolore„ se non entrano in funzione le cellule della corteccia.

Nella morte i centri sono a poco a poco invasi dal torpore colla diffusione dei veleni biolitici che la morte sprigiona da tutti i nostri tessuti. Forse il tessuto nervoso sarà l’ultimo a dare questi prodotti auto-tossici, perchè esso possiede una resistenza singolare (acquisita per selezione naturale, non per dono di Provvidenza!), e lo si vede nella morte per inedia, dove l’organo che meno perde di peso è per l’appunto il cervello; ma alla fine, la coscienza si ottenebra assai prima della dissoluzione della corteccia, bastando un lieve dissesto di questo delicatissimo tessuto per intorpidirla ed addormentarla. Il celebre clinico inglese Guglielmo Osler, nel suo bellissimo libro Science and Immortality, dice di avere tenuto conto del modo di morire di ben 500 dei suoi malati; orbene, i quattro quinti non hanno manifestato sofferenze nell’agonia: 90 però hanno sofferto dolori fisici, 11 dell’angoscia, 2 un vero terrore, uno si è mostrato eccitato, uno