Pagina:Neera - Addio, Firenze, Paggi, 1897.djvu/132

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118 addio!


viva. Ma ad un tratto le mie deboli mani non mi ressero più e scivolai sul pavimento mandando gemiti disperati.


Ardentissimi baci mi ridestarono.

Massimo mi teneva stretta nelle sue braccia; la mia fronte appoggiata sul suo petto provava una vertigine di felicità, una sensazione di beatitudine che mi faceva pensare al paradiso.

Era possibile resistere a quell’assalto di carezze, a quell’urto dei sensi da cui già sprigionavansi infocate le mille scintille del desiderio?

Potevo negargli il mio amore dopo che egli mi aveva raccolta svenuta per l’affanno, e che la sua mano impaziente aveva interrogato i battiti del mio cuore?

Risorsi a una finzione.

— Amico mio — gli dissi interrompendo gli impeti vivaci del suo giubilo — voi siete troppo generoso per voler approfittare del mio turbamento e strapparmi una promessa che deve decidere di tutta la mia vita. Vi chiedo alcune ore per riflettere. Se troverò