Pagina:Neera - Il romanzo della fortuna.djvu/132

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e levandosi a fatica le scarpe che sembravano fuse sopra i suoi piedi. — Conosci il signor Bassano di San Donato?

— Quell’omaccione grosso che passa sempre di qui con un calessino giallo attaccato ad un puledro — Quello appunto.

— Che è proprietario di una macina?

— Sì, quello. Ma non toccarmi il braccio.

— Ti fa male?

— Un poco. È stato un calcio del puledro: niente di grave però. Figurati che ce ne tornavamo a casa tutti e due, ognuno dalla nostra parte, il signor Bassano ed io, sotto un diluvio d’acqua. Ha continuato anche qui?

— Tutto il giorno.

— Bene. Ci eravamo appena incontrati; io gli avevo gridato dal baroccio: «Buona notte, signor Bassano!» — ed egli aveva risposto: «Addio, giovinotto!» quando alla distanza di un tiro di fucile circa il puledro si spaventò per non so quale ombra e fece un salto nel fosso.

— Col calessino?

— Già. Lui, il calessino e il signor Bassano; e qualche minuto dopo anche tuo fratello qui presente. Non potevo lasciare il mio prossimo nel fosso, eh?