Pagina:Neera - Iride, Milano, Baldini, 1905.djvu/109

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fetto che le ispiravo, ma sapeva avvolgerlo in nubi così eteree che io stavo sempre sospeso fra il cielo e la terra.

— Ella è pura come un cherubino — pensai — non somiglia alla Margherita di Goethe, ma piuttosto all’Ofelia di Shakespeare.

Presi in conseguenza delle pose d’Amleto; mi vestivo di nero, passeggiavo di notte nel camposanto e le recavo al mattino una viola côlta sul sepolcro d’una vergine.

Un incidente semplicissimo accrebbe il romanticismo dei nostri amori.

In una bella domenica sulla fine di aprile ella mi pregò di accompagnarla a pranzo da una sua amica, ed io mi feci un dovere di andare a riprenderla verso sera. La strada era lunga e noi senza fretta. Quando si giunse in cima ai Torni cadeva oscurissima la notte e il cielo senza luna copriva come un ampio padiglione azzurro la sottoposta valle del Brembo.

— Mio angelo, le dicevo, vedi tu quella stella che ci guarda soavemente? È l’astro del nostro amore.

— Mia vita — ella rispose — finchè splenderà quell’astro in cielo il cuore di Wilhelmine splenderà del tuo amore.