Pagina:Neera - Novelle gaje, Milano, Brigola, 1879.djvu/250

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curò che quello rideva; e poichè lo disse Beniamino, io, storico fedele, non posso non ammetterlo.

— Dov’è mio figlio?

Furono le prime parole di Valentina appena desta, e Beniamino accorse tutto orgoglioso di poterle mostrare ch'erano già amici.

Valentina era un po’ pallida, ma pur sempre leggiadra, colla sua cuffietta rosa che tentava darle un’aria di donnina, mentre il suo sguardo ingenuamente infantile la smentiva.

Beniamino appressò la culla candida e coperta di una tenda di mussola, unico velo che egli avesse potuto trovare. Vi adagiò il bambino su un fianco, colla testa un po’ alta; gli stese le manine, gli coprì i piedi lo pose perfettamente rimpetto alla finestra onde non deviargli lo sguardo, e la giovine madre sorrideva, accompagnandolo con occhio amoroso.

Valentina era debole, delicata, eppoi tanto giovinetta!... Roberto non voleva assolutamente ch’ella si affaticasse, essendo già una fatica quella di allattare, e frattanto chi fasciava il bambino, chi lo cullava, chi lavava i pannicelli, chi cuoceva la pappa? — Beniamino.

Chi lo conduceva a spasso? Beniamino. Chi lo faceva tacere quando gridava? Beniamino, sempre Beniamino; pareva ch’egli avesse cento braccia e cento gambe per accudire a tutto, e lieto, giulivo, pronto alla celia.