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Il Libro di mio figlio di Neera è un volumetto sottile, elegante e semplice, una edizione Galli di squisito buon gusto.

In queste brevi, nitide pagine, è sintetizzato il carattere della scrittrice, della autrice di Lydia, di Teresa, dell’Indomani. Neera, come scrittrice ha una fisonomia morale specialissima. Non è in lei l’ottimismo, spesso convenzionale talora sentito, che predomina nella numerosa schiera delle scrittrici, l’ottimismo roseo di Cordelia, della Guidi, della Vertua-Gentile, l’ottimismo bigio della Marchesa Colombi, ma neppure è in lei il pessimismo delle maggiori autrici, il tetro pessimismo nel quale la Serao freme contenendosi, mentre la Bruno Sperani lo spinge fino alla reazione, al convincimento in un’era nuova, più civile, meno inumana, e più sincera.

Neera, che è della luminosa triade femminile artistica, per quanto riguarda l’arte ha il senso acuto della modernità, ma nell’animo suo molto ancor vive del vecchio mondo morale, mentre le idee nuove vi si sono pure infiltrate, e, quel ch’è curioso, vi si sono acconciate senza generar lotta, formando un tutto caratteristico, ben definito. Difatti, ne’ suoi scritti, non ondeggiamenti, non dubbi tormentosi, non aspirazioni vivaci di un ritorno al passato o di un nuovo stato di cose; ella, del vecchio e del nuovo ha fatto la base di saldi principii che onestamente e coraggiosamente professa, senza curarsi se sono in disaccordo da un lato