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Una giovinezza del secolo XIX 87

veva coinvolgere anche me in un medesimo disprezzo. Una cosa sola capivo ed era l'ingiustizia di un colpo, che feriva nella mia anima vergine una ancora confusa, ma già potente aspirazione alla rettitudine, alla verità come un'impronta di sanità morale trasmessami nel sangue e che era tutta la mia forza in quelle dolorose occasioni. Forza di resistenza, ma forza passiva, perchè la mia invincibile timidezza mi impediva di reagire e lo stesso mio carattere meditativo e concentrato, che tendeva alle solitarie speculazioni del pensiero piuttosto che ai movimenti disordinati della volontà, mi allontanava con un vero istinto di antipatia da tutto ciò che fosse rivolta. Offesa, tacevo. Il dolore della ferita attingeva immediato acchetamento dal sentirmi ingiuriata a torto. Aver ragione, equivalente a trovarmi nel vero, bastava alla mia intima fierezza. Quando le mie zie, che non mi hanno mai conosciuta, per ignoranza educativa, per ristrettezza provinciale, per abitudine del sospetto, per altre recondite cause, infierivano contro di me, io più che ogni altra sensazione avevo quella della sorpresa e invece di difendermi chiedevo mortificata a me stessa: Perchè?

La disgrazia della mia famiglia era stata questa. Mio nonno aveva in affitto un lotto conside-