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Una giovinezza del secolo XIX 111

nè banchettavano canonici. Eranvi tuttavia bei cassettoni panciuti con riporti di metallo e qualcuna di quelle deliziose placche settecentesche dove, innanzi ad uno specchietto che forma il fondo si accendeva nelle occasioni solenni una candela che, riflettendosi moltiplicata nello specchio, doveva rappresentare il lusso di una luminaria. Regine nel loro piccolo regno esse avevano, come tutti i proprietari di quelle terre ubertose, la festa annuale della vendemmia alla quale non mancavano di assistere in mezzo ai loro contadini e la soddisfazione di riempire con vino proprio la cantina e di colmare la legnaia di ceppi tagliati dai propri alberi. Tutto in misura modesta, ma tutto così facile, così sicuro in un seguito armonico di tradizioni e di misure che, pur non essendo ricche fruivano del principale dono della ricchezza, che è l’indipendenza e di quell’altro pur dolce privilegio di potere, qualche volta, aiutare il nostro simile nella miseria.

Una specie di solaio coronava la casetta delle mie zie o, piuttosto che solaio, due piccole camere basse di soffitto che ne facevano le veci. Lassù, fra diversi oggetti fuori d’uso, la mia fantasia fu colpita da un busto femminile di grandezza naturale, non ricordo se di legno, come quelli che