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nato verde, si slanciavano in alto sorrette da piccoli pali le eleganti colonnine dei fagiuoli; ai loro piedi il pomodoro correva quasi in cerca di un appoggio pe’ suoi frutti maturi; il finocchio tremava al vento vaporoso e leggero come una piuma; il rosmarino, la salvia, tutta la fioritura dell’orto apparve a’ suoi occhi di campagnuolo che ne ricevettero una impressione grata, quasi di ricordo nativo. L’orto era ampio, diviso da un lungo viale a capo del quale scorgevasi una casetta rustica e tutto intorno aveva alberi fruttiferi carichi delle loro dovizie.
Come mai Ippolito non si era accorto prima di questa simpatica vicinanza? Ma senza stare a pensarvi troppo egli varcò la porticina, inoltrandosi lentamente sul viale di mezzo abbellito da alcuni vasi di limoni fiorenti nella acutezza sana del loro profumo. Ne colse una foglia e si pose a masticarla. Altre piantine minuscole germogliavano negli stessi vasi di limoni: porcellane, geraniuzzi, cappuccine, colla sicurezza spavalda di piccoli nani protetti da giganti, rivelando nel loro assetto una cura minuziosa e paziente. E tutto l’orto portava questa impronta di amore, di lavoro, di vita semplice, di operosità feconda. Gli esili alberelli delle pesche piegavano sotto il peso dei frutti rosei e rotondi come guance giovani sulle quali il sole di settembre posi i suoi dolci morsi. Era nell’aria una quiete altissima.