Pagina:Negri - Le solitarie,1917.djvu/47

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una serva 41


bigua: per la parola in lei nascosta, che ella non avrebbe mai osato dire.

Anin l’adorava. L’aveva vista nascere. L’aveva aiutata a crescere, vegliata quand’era inferma, accarezzata quand’era triste. Il matrimonio di Liana fu, in certo modo, il matrimonio di Anin.

Mobili, tappeti, cortine, gingilli della nuova casetta felice vennero fatti segno, dalla buona servente, ad una specie di feticismo.

Mai le passò per la mente che quelle leggiadre cose avrebbero potuto esser sue, se la sorte fosse stata più generosa con lei. L’esser chiamata a custode di tali bellezze le piaceva, la esaltava come una deliziosa missione: lucidarle, disporle, riordinarle equivaleva, nel suo semplice spirito, ad averne il possesso. Il senso della proprietà, molto confuso in lei, univa vagamente il tarlato cassettone materno, per poche lire venduto, alla massiccia mobilia di noce scolpita, alle ampie lettiere di palissandro che ogni mattina le sue mani spolveravano, gelose, con piumino, strofinaccio e spazzola.

Coll’andar degli anni ingrossò, si curvò, si appesantì, insaccandosi. Ma nel posare un