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12 LE ODI DI PINDARO



Epodo

vincendo nel corso, la gloria di Tebe; né l’insita
virtú di sua gente
bruttò. Noto pure è qual fama
pei carri già s’ebbe Cleònimo.
Poi ch’essi, degli avi materni labdàcidi avuti in retaggio
i beni, a cuore ebbero i cocchi.
Il tempo, ora questo, or quel cangia, volgendosi i giorni; ed illesi
non restan che i figli dei Numi.


II


Strofe

Strade infinite a me s’aprono dinanzi, mercè dei Celesti:
ché negli agoni dell’Istmo trovar tu sapesti, Melisso,
facile modo che l’inno prosegua le vostre virtú:
sempre dà fior di Cleònimo la stirpe; ed al Nume
cara, sul tramite muove del viver mortale: ché vario
soffiare di venti
su gli uomini tutti si lancia, e gl’incalza.


Antistrofe

Dicono ch’ebbero in Tebe, dagli avi antichissimi, onore:
ospiti grati ai finitimi, alieni dal vano clamore
di tracotanza. E di quante s’effondon tra gli uomini chiare
testimonianze di gloria di vivi e di spenti,