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248 LE ODI DI PINDARO

di Latona dai riccioli molli,
o immobil prodigio
dell’ampio universo,
cui gli uomini chiamano Delo,
e i Numi d’Olimpo
astro lontano raggiante
della cerulea terra.

· · · · · · · · · · ·
Errava da prima,

rapita dai flutti, dall’urto
dei venti molteplici;
ma quando la figlia di Còo,
nell’ultime doglie
furente vi giunse,
quattro colonne diritte
dalle radici terrestri
sursero, sopra adamàntini plinti,
e sui capitelli
la roccia sostennero.
E quivi, sgravata,
mirò la beata sua prole.


II

È riportato dallo scoliaste ai «Cavalieri» d’Aristofane (v. 1263). Per una induzione da un luogo di Pausania, si è creduto di poterlo identificare con un canto composto da Pindaro in onore di Afaia, divinità (forse Artemide) onorata dagli Egineti in un tempio famoso, sul monte di Giove panelleno. A prosodii appartenevano forse anche i frammenti che aggiungo (92-93 Christ), e che nella edizione del Puech sono compresi tra i frammenti varii (18).