Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/337

Da Wikisource.
322 odissea

Poi, la cittade incenerita, in nave
Delle spoglie più belle adorno e carco670
Montava, e illeso: quando lunge, o presso,
Di spada, o stral, non fu giammai chi vanto
Del ferito Neottolemo si desse.
     Dissi; e d’Achille alle veloci piante
Per li prati d’asfodelo vestiti675
L’alma da me sen giva a lunghi passi,
Lieta, che udì del figliuol suo la lode.
     D’altri guerrieri le sembianze tristi
Compariano; e ciascun suoi guai narrava.
Sol dello spento Telamonio Ajace680
Stava in disparte il disdegnoso spirto,
Perchè vinto da me nella contesa
Dell’armi del Pelíde appo le navi.
Teti, la madre veneranda, in mezzo
Le pose, e giudicaro i Teucri, e Palla.685
Oh côlta mai non avess’io tal palma,
Se l’alma terra nel suo vasto grembo
Celar dovea sì glorïosa testa,
Ajace, a cui d’aspetto, e d’opre illustri,
Salvo l’irreprensibile Pelíde,690
Non fu tra i Greci chi agguagliarsi osasse!
Io con blande parole, Ajace, dissi,
Figlio del sommo Telamon, gli sdegni