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Lo stesso Wagner è stato infermo di questa malattia, e la teoria preposta alla creazione artistica ha spesso diminuito la spontaneità geniale della sua ispirazione, ha inaridito spesso l’umanità della sua emozione, ha trasformato in simboli tanti suoi personaggi, in ripetuti ragionamenti tanta parte della sua musica. Par quasi che Stendhal pensi profeticamente all’arte di lui quando nel 1827 stando a Padova scriveva dei tedeschi: «Sono un popolo buono, pesante e lento che non può essere messo in movimento che da qualche impulsione violenta e sovente ripetuta». Ma Wagner è ancora della statura dei genii. E, come per godere Dante basta anche fermarci all’interpretazione letterale senza risalire alle allegorie e alle analogie, così per goder Wagner ci basta anche, non sempre, ascoltarlo senza chiedere ai motivi direttivi la spiegazione logica dell’emozione estetica. Dopo lui la musica tedesca, Strauss, Mahler, Reger, si fa sempre più premeditata e razionale, e quanto acquista in volontà e in deliberato proposito, tanto perde in forza di commozione e di convinzione.

Per tornare a noi italiani, — quando l’equivoco del così detto Romanticismo italiano fu sciolto, — quando del Romanticismo tedesco venuto del resto allo stesso Manzoni più attraverso la Francia che direttamente, niente rimase fuori del nome e di qualche tema comune, — quando la stessa adorazione tedesca pel medioevo cristiano diventò qui un rinnovamento di venerazione pel cattolicismo romano e antiluterano, — quando (per ripetere le parole di Francesco de Sanctis) noi ritrovammo una coscienza politica, il senso cioè del limite e del possibile e del verosimile, — quando e la rettorica degli ultimi classicheggianti tanto romantici e la declamazione degli ultimi romantici tanto accademici cedettero tutte e due davanti al bisogno nazionale di una letteratura italiana e moderna, — quando il carattere nostro e le nostre tradizioni letterarie ci obbligarono a ricongiungersi, dopo la tempesta, alla naturalezza di Goldoni e alla temperanza di Parini, come vent’anni dopo le nostre tradizioni pittoriche ci fecero ritrovare l’aria