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CANTO VII 131

dal focolare alzare lo fece, lo fece sedere
170sul trono, onde si alzò Laodamante suo figlio,
che presso a lui sedeva, che gli era piú caro d’ogni altro.
E l’acqua a lui portò, per terger le mani, un’ancella,
entro una brocca d’oro, sovresso un lebete d’argento.
Quindi gli collocò vicino una tavola bella,
175e la massaia onesta su quella gli pose del cibo:
molte vivande gli pose, largendo di quelle che aveva.
E qui bevve e mangiò Ulisse tenace divino.
Ed il re possente, queste parole rivolse a l’araldo:
«Su svelto, Pontonòe, riempi il cratere, ed in giro
180mesci vin puro a tutti, che a Giove libare vogliamo
ch’è signore del tuono, che gli ospiti supplici assiste.
Cosí diceva Alcinoo: l’araldo, rempiute le coppe,
a tutti quanti in giro mesceva il dolcissimo vino.
E allora a tutti Alcinoo rivolse cosí la parola:
185«Principi, condottieri dei Feaci, or datemi ascolto,
ch’io vi dirò quanto il cuore nel seno m’ispira ch’io dica.
Dopo il banchetto, a casa ritorni ciascuno a dormire.
Domani all’alba, tutti chiamati i signori piú annosi,
onore in casa nostra si faccia a quest’ospite, e ai Numi
190bei sacrifici offriamo. E quindi si pensi alla scorta,
perché senza travaglio né cruccio, quest’ospite nostro
possa, da noi condotto, tornare alla terra materna,
ed allegrarsi presto, per quanto di qui sia lontana;
né male alcuno ei debba frattanto soffrir, né cordoglio
195prima ch’alla sua patria sia giunto. Qui poscia patire
dovrà quello che a lui la Sorte e le Parche crudeli
hanno filato il giorno che a luce lo diede sua madre.
Se poi qualcuno fosse dei Numi discesi dal cielo,