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20-49 AD ERMETE 63

ed a cercare mosse la greggia d'Apòlline arciero.
Una testuggine prima trovò, ne cavò gran sollazzo.
Gli capitò fra i piedi dinanzi all’ingresso dell’antro,
mentre pasceva presso la casa la florida erbetta,
movendo lemme lemme. Di Giove il benevolo figlio
la guardò, rise, e queste parole poi súbito disse:
«Auspicio sei per me profittevole; ed io non ti spregio,
Salve, o piacevole oggetto, che fausto m’appari, o dei balli
guida, ai banchetti compagna. Di dove mai giungi, o soave
trastullo, guscio versicolore, montana tartuca?
Ora ti piglio, a casa ti porto, e ti metto a partito,
non ti trascuro: la cosa sarai che per prima mi giovi.
È meglio stare in casa, nocivo è restare all’aperto.
Dei sortilegi, se tu fossi viva, saresti ministra;
ma se morrai, potrai dolcissimo effondere un canto».
     Disse cosí, la levò con ambe le mani da terra,
e rïentrò nello speco, recando il giocattolo caro.
E quivi, uno scalpello di candido ferro vibrando,
tutto sgusciò dell’alpestre tartuca il midollo vitale,
velocemente, come si muove il pensiero d’un uomo,
quando nel petto suo si volgon molteplici cure,
e, roteando, dagli occhi gli sprizzano raggi: del pari
facea lo scaltro Ermète succedere all’opere i fatti.
Pria conficcò le canne d’un giunco tagliate a misura
entro dei fori, aperti sul dorso alla dura tartuca;
attorno attorno, sopra vi stese la pelle d’un bove,
poi ci piantò le braccia, e un giogo ch’entrambe le unisse:
sette concordi minugia di pecora sopra vi stese.
Ora, poi ch’ebbe con arte costrutto il giocattolo caro,
le corde ad una ad una percosse col plettro; e un frastuono