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del chiabrera 340

però uditemi con animo non turbato. Egli parlando di Sacripante dice:

Mentre costui così si affligge e duole,
     E fa dogli occhi suoi tepida fonte,
     E dice queste e molte altre parole,
     Che non mi par bisogno esser racconte
     L'avventurosa non mi par bisogno esser raccolte,
     Ch' all'orecchio d'Angelica sian conte1.

Qui veramente il quarto verso ed il quinto sono per compir la stanza, nè altra cosa adoperano. Dice similmente favoleggiando delle acque di Merlino:

E questa hanno causato due fontane,
Che di diverso effètto hanno licore,
Ambe in Ardenna, e non sono lontane.
D'amoroso disio l'una empie il core;
Chi bee dell’altra, senza amor rimane2.

Vedesi che quelle parole, e non sono lontane, sono riempimento per trovare la rima. Dice altrove:

Col corpo morto il vìvo spirto alberga,
Fin ch'oda il suon dell'angelica tromba,
Che dal ciel lo bandisca, o che ve l'erga,
Secondo che sarà corvo o colomba3.

Quest’ultimo verso fu composto avendo il poeta bisogno della voce colomba.

Voi la fanciulla a sè richiama in chiesa
Là dove prima avea tiralo un cerchio.
Che la potea capir tutta distesa,
Ed avea ancor un palmo di soperchio4.

Ed io vi dico, che soverchio è questo ultimo verso, lo qui taccio per vera forza di riverenza, e me ne vengo al Tasso. Egli dunque scrisse una volta questi versi:

     Quando dall'alto seggio il Padre eterno,
     Ch'è nella parte più del ciel sincera,
     E quanto è dalle stelle al basso inferno,
     Tanto è più su della stellata sfera,
     Gli occhi ingiù volse, e in un sol punto, e in una
     Vista mirò ciò che in sè il mondo aduna,
Mirò tutto la cose, ed in Soria
     S’affisò poi noi principi cristiani,
     E con quel guardo suo, che a dentro spia
     Nel più secreto lor gli affetti umani
     Vede Goffredo5.

In questi versi, volendo noi lasciarci portare da cor sincero, confesseremo, che quelle parole: ch'è nella parte più del ciel sincera, sono frapposte per comporre la stanza; e quei due versi: e con quel guai do suo, che a dentro spia nel più secreto lor gli affetti umani, non fanno salvo numero; ed udite quel concetto com’è piano, sponcndosi cosi: Quando il Padre eterno dall'alto seggio, il quale tanto è più su della stellante sfera, quanto è dalle stelle al basso inferno, volen gli occhi in giù, ed in una vista mirò ciò che il mondo in sè raduna, egli vide tutte le cose, ed in Soria s'affisò poi nei principi cristianij e vide Goffredo. Certamente non troverassi intoppo nel sì fatto parlare, senza entrare nei pensamenti, come vegga Dio le cose più dentro di noi, che fuori di noi. E poco appresso dice egli di Gabriello:

É tra Dio questo, e la anime migliori
Interpreta fedel, nunzio giocondo6.

Le parole nunzio giocondo, se vogliamo onorare la verità, sono scioperate. Poco appresso leggiamo:

Ma ’l fanciullo Rinaldo. e sopra questi,
E sopra quanti in mostra eran condititi,
Dolcemente feroce alzar vedresti
La real fronte, e in lui guardar sol tutti7.

'In lui guardar sol lutti, io giurerei che il gran Torquato non volea dirlo in quel modo.

S. I detti degli uomini ammirabili è dovere esaminarli sottilmente, ma per comprendere la loro eccellenza, e non per investigarvi i difetti; parlo così, perché alla nostra sentenza si potrebbe rispondere lungamente.

V. Ed io vi dico, che quantunque io noti le cose narrate, le noto come imperfezioni di uomini perfetti; sì che non è da meravigliarsi se potessero avere schermo, che già costoro non possono peccare come ignoranti, ma in loro è peccato allontanarsi dal colmo della estrema eccellenza, al qual peccato li tragge alcuna volta la favella rimata. Io ben veggio, che il verbo vedresti, accompagna le parole, in lui guardar sol tutti; ma uomo adottato dalle Muse, narrando direttamente quale era Rinaldo, non dovea saltare alla disposizione de’ popoli verso lui, ed io non voglio che questi poeti possano scusarsi, ma voglio, che non possano salvo lodarsi. Udite.

Sovra una lieve saetta tragitto
Vuo' che tu faccia ne la greca terra:
Ivi giugner dovea (cosi mi ha scritto
Chi mai per uso in avvisar non etra)
Un giovino real8.

Qui io veggio che l'uomo grande si è fatto difesa con la parentesi, ma pure veggasi che quelle parole sono per dar compimento alla stanza, nè dovea Goffredo dar conto del suo comandamento, nè mettere in dubbio, s’egli era ingannato, o no. Ho detto assai per significare la malvagità della rima, quando ella fa dire soverchiamente: ora io voglio dirvi ciò che essa rima ha fatto dire in mal modo a questi quattro lumi chiarissimi d’Italia nostra. Dice dunque Dante:

Acciò che io fugga questo male è peggio9.

La parola peggio cosi ignuda non stà ella

  1. Orlando Fur. C. 1. st. 48
  2. Ivi, st. 78.
  3. Ariosto, Orl. Fur. C. 3, st. 11
  4. Orlando fur. C. 3 st. 21.
  5. Gerusalemme liberata, C. 1, st 7 e 8.
  6. Gerusalemme, st. 11.
  7. Ivi st. 58.
  8. Ivi C. 1, st. 68.
  9. Inf. C. 1.