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del chiabrera 349

pio degli antichi: ora movete a condannare qualunque scrittore rimasse con parola la quale avesse l’ultima sillaba con accento grave, e non fornisce in vocale, ma su lettera consonante: e egli si fatto il vostro giudizio?

C. Così fatto a punto.

Or. Ora io debbo rispondervi, non producendo ragioni perchè cosa debba farsi, ma portando in mezzo autore antico da cui si sia così fatto. Dante, il quale fu d’altissimo spirito fornito, e vide molto addentro nella poesia, fecesi beffe di sì fatte leggiere opposizioni, come uomo ben persuaso, che scrittura onde debba porsi maraviglia nell’animo di chi legge, voglia non minutamente guardare a’ sottili pensamenti popolari, sì veramente che si rimanga dentro de’ confini dell’arte; egli dunque cantò alcuna volta così:

Io non sono mago, nè posso ingannare gli orecchi in alcun modo; ed essi sentono pure queste rime Sion, Orizon, Fetori, e però perchè tanto ammirare? Se Dante non rifiutolle perchè noi abbominarle? più dico; Dante (e latri chiunque ne ha vaghezza) Dante, dico, maestro di tutti i Toscani, non pure sprezzò regole così fatte, ma si prese viamaggiore licenza: io mi dichiaro. Alcuno, e voi potreste dire: Sion, e le compagne parole si chiudono con consonante da’ grammatici appellata liquida; e ciò fassi malamente favellando siccome il popolo di Firenze il ci manifesta; onde se la gente per natura così fa, scandalo non dee patere che lo scrittore così faccia per arie; ma Dante, il quale volle spezzare questa sbarra ed apparire franco d’ogni ligame, compose questi versi così rimati:

Udite voi, Cicognino maraviglioso? Certamente, se io non sono errato, le dettevi rime hanno l’ultima lettera consonante, e consonante non liquida, e per tal guisa terminare la parola non costuma il popolo fiorentino quando ei parla; e tutta volta Dante volle rimare in tal modo: e ponete mente, ch’era in sua balia dare compimento a quelle voci, e torsi d’impaccio, e scrivere Austericche, e Cricche, e non pertanto egli volle farlo; e prese a scherno ogni biasimo, il quale per ingegni volgari potesse essergli dato; ed insomma elesse d’apparire per ogni via maraviglioso, e sciolto da ogni minuta regola che odorasse d’animo vile. È conosciuto pienamente, che egli non pure terminò le parole in lettera consonante sul fine del verso nel suo nativo linguaggio, ma non si sbigottì d’accettarne da idioma straniero: Tutti dicean Benedictus qui venit. Io sopra ciò non so che recarvi più, ed a chi cotanto non è assai, secondo me, niuna altra autorità basterà.

C. Avete così tritati i componimenti degli uomini famosi, che non mi fate già venire con voi, ma bene mi rendete meno avverso a’ versi de’ quali io vi ho mosso questioni; dicovi lealmente che io mi conduco a credere che ogni uomo abbia le sue opinioni, e che ogni opinione abbia sue ragioni per sè; e ben vero ch’io non mi so dipartire da’ modi antichi, e ch’essi mi piacciono più.

Or. Molti compagni avrete per questa via, ed anco dì coloro che scherzano con sì fatto verseggiare non molto usato, avvegnachè molto antico; ma su le menti reali non ogni vivanda è zuccaro. Ora voi accusate parimente come cosa da non farsi il rimare l’ultima parola del verso con parola allogata nel mezzo del verso seguente; soprachè io voglio solamente ricordarvi quei versi del Petrarca nella chiusa di una canzone:

Il rimanente non fa bisogno recitarvi; e parmi, che le vostre opposizioni siano tutte quante esaminate.

C. Se ne è tenuto sermone, ma leggiermente.

Or. Già non conviene farvi disputa, come si dovrebbe fare della vita d’uno uomo; che avvegnachè questi componimenti si sentenziassero a morte, non morirebbe salvo un poco di carta e un poco d’inchiostro.

C. Bene sta; tuttavia la poesia è nobilissima arte, ed è ragione condurla a sua perfezione, quanto si può. Ma ditemi per vostra fè: Che vuole significare strofe, antistrofe, ed epodo; e con qual ragione pongonsi nelle canzoni toscane? Di ciò non mi darete esempio nè di Petrarca, nè di Dante.

Or. Ciò che simiglianti voci si significhino, noi vi dirò; ben v’affermo che molto tempo addietro Luigi Alamanni compose canzoni non diversamente; ma egli nominò quelle parli della canzone, ballata, contraballata e stanza; ma il nome non monta nulla; e voglio manifestarvi cosa poco secondo me osservata, ed che Gio. Giorgio Trissino, personaggio fortemente dottrinato e degli scrittori greci molto domestico, e d’ogni segreto di poesia esperto, ne lasciò vestigio, già sono cento anni trapassati, e se vi piacerà di leggere la sua tragedia intitolata Sofonisba, voi vedrete nelle canzoni del coro, che tenne memoria dell’uso greco.

C. È ben ciò non affatto da dispregiarsi: ma ciò che fu a grado a quei due, pare che agli antichi maestri non venendo in mente, sia cosa di poco momento; ovvero a loro essendo venuta in mente, ella sia rea cosa, poichè la rifiutarono.

Or. Certa cosa è che sempre abbondano argomenti a chiunque è vago di quistionare; ma