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32 | poesie |
L’oltraggioso signor, che a’ rei pensieri
Stimo vergogna tener stretto il freno,
45Che là ’ve corre il Reno,
E là ’ve l’Istro si sognava imperi,
Nè conoscea confin per sua possanza,
Tanto l’inebbriò dolce speranza!
Ove è sparito? oh da notarsi istoria!
50Vibra l’acciar, vassene altero in faccia,
Urta, sfida, minaccia,
Disperde squadre, e sul gridar vittoria1,
Iddio con ira appena il guarda in viso,
Che fulminato egli trabocca anciso.
55Principi scelti a ben guidar le genti
Quaggiù, siccome ognun, voi sête vermi;
In van cercate schermi
Contra i celesti colpi onnipotenti;
Udite, o grandi, non indarno io parlo:
60Solo vincesi Dio con adorarlo.
XLVI
AL PADRE D. ANGELO GRILLO.
Ond’è l’inclito suon, che sì repente
Söavemente lusingando spira?
Che ’l verno acqueta l’ira;
Ne strider per lo ciel Borea si sente?
5Ma sull’Alpi deserte in nuovo stile
Aprile s’apre d’ogni fior gentile.
Cangia forse col lito alma Sirena
L’onda ripiena dell’orror marino?
O Cigno peregrino
10Vien di Cäistro sulla nostra arena?
E per la neve del bel collo esprime
Le rime dolci, e l’armonia sublime.
Anzi pur mosso dall’Olimpo eterno
Angel superno citarista scendi,
15E sulla lira tendi
Arco che gli anni suol pigliarsi a scherno;
E largo spandi per le labbra fuori
Tesori cari più che gemme ed ori.
Nobile pregio alla paterna sponda,
20Per te feconda d’ammirabil canto;
Certo non picciol vanto
Or per tua cetra le virtù seconda:
E quinci avranno cavalieri e regi,
I fregi degni a’ lor sudori egregi.
XLVII
A D. MARIANO VALGUARNERA
Che è da poetare di nobili soggetti.
Il sole, o Valguarnera,
Al giorno mio vien meno,
Ed omai fosca il seno
Veggio apparir la sera;
5E pure il piè non resta,
E l’impreso cammino
Ancor non abbandona,
Ma va per la foresta,
Ove scorga divino
10Il ruscel d’Elicona.
Ben sento il vulgo ogni ora
Di biasmi armar sua voce;
Ma poco giova, o noce,
S’ei spregia o s’egli onora;
15E se mia vita è vile,
Mentre si specchia e terge
In sì bell’acque e chiare,
Forse sarà gentile
Nocchier che si sommerge
20Gemme involando al mare?
Io sovra il sacro monte
Almen godo riposo,
E rimiro giojoso
Le belle Dive in fronte;
25E da’ lor canti intendo
Consigli alti ed egregi
Da farne i cor felici;
Ed indi l’arte apprendo
Da celebrar gran regi,
30E non vulgari amici.
Ed onde arei potere
D’illustrar tuo valore,
Or che fiamma d’amore
Mi sforza a non tacere?
35Certo con la lor mano
Ora ti porgo un vaso
Di bel néttare Argivo,
Che oltra lo stile umano,
Dopo l’odioso occaso,
40Ti manterrà ben vivo.
Ma folle or che dico io?
Ed a che darti io vegno?
Non ragionevol segno
Io posi al quadrel mio:
45Per tal guisa serene
Le nove Muse e liete
Ti scorgono al Permesso;
E ti spande Ippocrene
A consolar tua sete
50Il grande Apollo istesso.
Tu colà dentro bêi
Licor di tal possanza,
Che tua virtù s’avanza
Oltra i golfi Letei;
55E se la voce sciogli,
Immantinente il foco
Del torbido Austro è cheto,
E fai che ognor germogli
Clizia, Giacinto e Croco
60Sulle piaggie d’Oreto.
Veggo in tua man la cetra,
Che se canti, saetta;
Per ogni alma diletta
Amabil grazie impetra;
65Ma non la fare ancella
D’occhio gentil che i cori
Ora lusinga or fiede;
Chi tra spade e quadrella
Marca col sangue allori,
70Sia de’ tuoi versi erede.
Al Ciel sacrati altari
Tratti da fochi accesi,
- ↑ Allude alla battaglia di Lutzen, vinta da Gustavo, che vi rimase ucciso.