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CAPITOLO SESTO 155 conoscenze dell’oggi. Fiorelli era un grassotto, tal da sembrare imbottito, piuttosto rosso che biondo, e con un’aurèola tutt’all’ingiro di far ’na vita da papa. — Alberto — continuò Enrico, scavalcando il dossale ad una sedia non occupala presso di lui — l’è mesi mcsoruin da che ci siamo incontrati. Ti dirà la mia cera che vengo dalla campagna. Salvo una fame assassina, sto a gonfie vele. E lu ? — Vivo. — Non credo. C’è da giurare che ti stai sempre fra quei tuoi morti di libri. Studii alla disperata, eh ? — Alberto fe: una boccuccia di noja : niente lo contrariava di più del passar per sgobbone. — Non mi dare la berta, — rispose. — Dimmi invece una cosa.... — Due. — (ìià ; lu conosci moltissimi.... — Conosco, fa conto, mezza città. — Siamo a casa allora. Sai dirmi chi è.... chi è quella.... Guarda in fila seconda, a sinistra.... quel fagotto di donna, in raso colore cangiante? — Ipòcrita di un Alberto r Ve’, se pigliàvala larga. — Oè ? t’innamora? — dimandò ridendo Fio- relli. — Bene, quella brulla sàgoma là, e quel secchello di uomo faccia a faccia con lei, fanno un sol pajo. Tenòvano drogherìa, sarà un dieci anni, sulla piazzetta di santa Polonia ; si chiamarmi Del-Rò. Adesso, eh, ti leva il cappello, sono i signori baroni Dvl-Jìuv. Non lian fat- t’allro che trasportare l’insegna dalla bottega al calesso.... — Vorrei — Alberto interruppe con un zin- zino d’aceto — diradare le nebbie che avvòl-