Pagina:Opere (Dossi) I.djvu/220

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CAPITOLO NONO 189 eia c un tavolone rivestilo di marino nel mezzo. Oli quante nolti avea là trascorso Martino a disfare a studiare rumano bamboccio senza poterlo capire ! — Su quella panca — ricominciò a dire la magra, la quale, delle due portiere, s’avea pigliato l’appalto del chiacchierìo — la panca sollo la cappa, era un pòvero morto, abbigliato come un signore. Dicono che don Martino facesse vita con lui, discorròssegli assieme, mangiasse.... E di pòveri morti, sa, ce 11’erano altri, e tanti ! a pezzi e a bocconi, su que’ rampini e que’ palchi. Una fila di teste, poi !... Venne suo babbo, e li fe’ tutti interrare. — Oh ! guardi — disse Paolino ^e accennava ad una lumiera) — è a gas ; fin d’allora ! — St ! — fece la portinaja. — È l’ànima dei pòveri morti. Come sia bene la storia, non so ; ne dicono tante ! pure ci ha molla cantina sotto.... diavolerìe, magìe.... osservino ! — E tese la mano a un camerino senz’uscio. Servitore e padrone vi vòlsero l’occhio. E, poiché stava nel camerino, un coso, un tabernàcolo degli Ebrei, suppergiù un usuale gasòme- tro, la fantasìa di Paolino restò ; quella invece di Alberlo si spinse più in là ; trattàvasi d’indovinare, sua passione, suo forte. Ed egli vi apprese, che il mago avea saputo utilizzare, oltre la vita, l’uomo. L’uomo, non può più fare ? Illù- mini colui che fà. Tornàrono silenziosi neH’alrio. — Ecco la scala ! — disse la vecchia ìieH’in- dicare un rastrellino di ferro, giusto riscontro all'uscio della portinarìa. E Paolino l’aprì. La grassa delle poriinaje rimase a terreno ; gli altri, montarono la scala. E riuscirono in un salone. Il quale salone, che rispondeva sull’atrio, mo¬