Pagina:Opere (Dossi) I.djvu/376

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Un'academia alla Intona 343 Dunque, giunta la sera e l’ora, mi vesto, cioè non mi vesto affatto ..(che una toletta fuori di posto è il dissolvente maggiore della schietta allegrili) e passo nel qualiierino del mio padrone di casa. Per la piràmide di Gajo Cestio ! Grande illuminazione e un mucchio di gente, i signori in frac e con guanti : le dame, senza colletto e màniche. Imàgina il mio stupore ! “ Ve sii mai imbattali in quai ostarla A falla l’uss dopo vess staa a pissà?,, tuie io restai. Ricordando però, che io possedevo, del pari, una marsina nuova e fiammante, corsi a indossarla. Clic io voleva conoscere a fondo quell’insòlito lusso, e per bene osservare, bisogna anzitutto non èsserlo. Dunque, mi rivesto, ritorno. Risalutante e insalutato, mi pianto presso la porta. Ecco il mio padrone di casa, tutto prosopopèa, àbito nero, guanti giallicci. È a pianoforte ed arpeggia. Oh (piante volte l’avevo io invece veduto in cucina, con una veste da càmera sudicia (piasi, come le scale di casa, a mondar l’erbolina e a smoccolar le candele ! Quanto poi agli altri signori, più li guardavo, più mi sonavau di rame. (ìli uòmini avèvano ben la marsina, ma parèa che ninno vestisse la sua, parca che se la fossero scambiata reciprocamente. Io ci vedeva come appiccato, in mezzo alle spalle il cartellino del nolo. E, le signore calzavano guanti, certo, ina guanti calzati di già. Osservàndoli poi parte a parte, distingueva qua e là delle figure non nuove, figure che aveo forse incontralo più di una volta: scendendo o salendo le scale? con sottobraccio il lor quaderno di trilli. In lino, principalmente, mi ero giusto avvenuto