Pagina:Opere complete di Giambatista Casti, Parigi, Baudry, 1838.pdf/289

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Col cesto in pugno, o col braccial di legno;
L’un de’ quai si adoprò, l’altro si adopra,
Quello già nell’olimpica tenzone,
72Oggi questo giuocandosi al pallone.
     Spesso per le indiscrete, aspre percosse
Le molle fuor de’ propri siti loro
Restano a forza in giù depresse e smosse,
Le quali a ciaschedun tubo sonoro
Or aprono ed or chiudon lo spiracolo,
78E introducono il vento o fangli ostacolo.
     Poichè, il tasto calcandosi, si abbassa
La molla, e il buco ne riman sturato,
Onde, spinto dai mantici, vi passa,
E un fischio fa continuamente, il fiato
Che penetra nell’intimo del cranio;
84E a tal distuonamento agghiaccio e smanio.
     Così il vento talor dalle fessure,
O passando pel buco della chiave,
Se buone non son toppe o serrature,
Certo sibilo rende acuto e grave,
Siccome o torto o dritto, or presto or lento,
90Penetra dentro allo spiraglio il vento.
     De’ tuoni in somma il bestïal sconcerto
E de’ tasti il flagel duro e perenne,
E ognor di qualche canna il buco aperto
Per far confusïone più solenne,
Danno all’orecchio un sì crudel tormento,
96Come vespe o moscon vi fischin drento.
     L’aria commossa dallo sregolato
Tasteggiamento delle false note
Forma un fracasso estremamente ingrato,
Che dell’orecchio il timpano percote,
E fa doler la testa, ed in quel mentre
102Mi si solleva il volvulo nel ventre.
     Forse meno importun ronza il moscone,
E più soave è il raglio del somaro,
Forse più dolcemente il calascione
Suona lo scamiciato montanaro,
Che allegro e canta e suona per le strade,
108Mentre a maremma va a falciar le biade.
     Vi fu un pastore tremilanni fa
Di tal follìa nel suono e presunzione,
Ch’ebbe perfino la temerità
Di porsi con Apollo al paragone
Onde qual uomo d’intelletto privo
114Fu poscia in pena scorticato vivo.
     Io non v’auguro già cotanto male,
Che siate, come Marsia, scorticato,
Benchè dovrebbe esser la pena eguale,
Dove eguale ritrovasi il peccato:
Lo dico solo acciò voi conosciate
120Che d’esser scorticato meritate.
     Itene a fare il mastro di cappella
Laddove son del Nil le cateratte,
Ov’è inutil la voce e la favella,
E son l’orecchie ad ascoltar non atte,
Chè il fiume col fragor di sua caduta
126Fa divenir la gente e sorda e muta.

     Là potreste suonar gighe e furlane,
Là far trilli, passaggi e ricercate,
Che quelle nazïon catadupane
Non udirebber le vostre suonate,
Nè potrebbe distinguersi tra’ sordi
132Il vostro suon se accordi o se discordi.
     Ma qui tra noi nella canora Italia,
Ove armonica abbiam l’anima e i sensi,
E dove appena usciti siam di balia
Par che cantori a divenir si pensi;
Un falso tuon dà più fastidio e smania
138Che un febril parosismo, un’emicrania.
     Cosa il vostro guardian, cosa diria,
Se in cattedra montar volesse il cuoco,
E ai novizi spiegar teologia,
La pentola e il paiol lasciato al fuoco,
E in vece di trattar la cazzaruola,
144Far pretendesse il baccelliere in scuola?
     E pure a un cuoco accorderei piuttosto
Che in cattedra dicesse uno sproposito,
Che in cucina sciupar lesso ed arrosto,
Ed intingoli far malapproposito;
Più gravemente assai mi par che pecchi,
150Se alcun ci strazia l’anima e gli orecchi.
     Il confuso rumor di fuse e crome,
Il disgustoso orribile frastuono,
La dissonanza irregolar, cui nome
Usate dar di musica e di suono,
Con tal forza il cervel mi urta e mi pesta,
156Che per gran tempo mi rimbomba in testa.
     Cosi chi lungamente andò per barca,
Ed il contrasto udì d’Affrico e Noto,
E poi sul patrio lido appena sbarca,
Per grazia ricevuta appende il voto;
O dorma solo o colla sposa insieme
162Sempre gli sembra udire il mar che freme.
     La musica, che ha origine celeste
Ed è sì bella e dilettevol cosa,
Deforme in guisa tal voi la rendeste,
Che in vostre mani è divenuta esosa;
Le avete tolta e grazia e leggiadria,
168E non si sa che diavolo si sia.
     Mi ricordo aver letto in un autore,
Che, se Alessandro Magno il suono udìa,
Montava in tanta collera e furore
Che dava sempre in qualche frenesia:
L’ira che in lui destava il suono, or voi
174Col vostro suono la destate in noi.
     Che se non fosse pel timor d’Iddio
E per riguardo alle genti del mondo,
Quando vi odo suonar non so quel ch’io
Farei spinto da strano estro iracondo;
So ben che faccio ogni sforzo che posso
180Per non mettervi fin le mani addosso.
     Ed io potrei provar con più d’un passo
E cogli esempli tratti dal Vangelo,
Che per toglier lo scandalo ed il chiasso,
Non saria riprobabile tal zelo,