Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 2.djvu/157

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XXX.

FALARIDE SECONDO.1



Io non sono, o cittadini di Delfo, nè ospite pubblico degli Agrigentini, nè ospite privato di Falaride, nè ho altra cagione particolare per volergli bene, o speranza di essergli amico; ma avendo udito gli ambasciatori da lui mandati parlar ragionevole e moderatamente, e vedendo che si tratta di cosa pia insieme e profittevole al comune, e particolarmente convenevole ai Delfi, mi sono levato per confortarvi di non fare questo oltraggio ad un principe religioso, non rifiutare un voto promesso a questo dio, e che sarà un’eterna memoria di tre cose grandissime, di un’arte eccellente, di un pensiero pessimo, di una pena giusta. Il dubitar che voi fate ed il mettere a partito se si dee ricevere l’offerta, o rimandarla, io credo che sia un’irreligiosità, anzi giunga ad un’empietà massima: questo non è altro che un sacrilegio, tanta più grave degli altri, quanto il dissuadere chi vuole offerire è cosa più empia che rubare le offerte, lo vi prego, essendo di Delfo anch’io, e partecipe della pubblica buona fama, se ce la manterremo, del biasimo che potrà venirci da questo affare, di non allontanare dal tempio le persone religiose, nè discreditare innanzi al mondo la città nostra, come quella che cavilla su i doni mandati al dio, ed esamina con giudizio e tribunale i donatori. Nessuno più si attenterà di portare un’offerta, sapendo che il dio non accetterà ciò che prima non sarà piaciuto ai Delfi. Eppure Apollo ha mostrato chiara la sua volontà intorno a questo dono: che se egli odiava Falaride, ed abborriva il dono, gli era facile affondarlo in mezzo al Jonio con tutta la nave che l’ha portato; ma per contrario egli ha dato loro, come dicono, un bel tempo nella traversata, e sbarcar

  1. Un Sacerdote vuol persuadere quei di Delfo di ricevere il dono di Falaride.