Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 2.djvu/277

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sopra le immagini. 269

paragoni. Il forte sta nel paragonare bene, e questo bene si discerne specialmente così: non se accozzi fra loro cose simili, non se fai un paragone con una cosa inferiore, ma se innalzi, quanto conviene, ad una cosa superiore quella che tu lodi. Così, se uno lodando un cane, lo dicesse maggiore d’una volpe o d’una gatta, diresti tu che costui sappia lodare? Certo che no. E se lo dicesse eguale ad un lupo neppur gli darebbe gran lode. Dove dunque sta la perfezion della lode? Se si dicesse che il cane agguaglia il leone per grandezza e per forza, come il poeta lodando il cane d’Orione lo disse domaleone; questa sarebbe la perfetta lode d’un cane. Così ancora se uno volesse lodare Milone crotoniate, o Glauco di Caristo,1 o Polidamante, e dicesse che ciascuno di questi fu più forte d’una donna, non saria egli ridicolo per sì sciocca lode? e se lo dicesse più gagliardo d’un altro uomo, neppur basterebbe questo a lodarlo. Ma come il gran poeta lodò Glauco? dicendo: Neppure la forza di Polluce gli protenderebbe le mani contro, nè il ferreo figliuolo d’Alcmena. Vedi a quali iddii lo paragonò, anzi lo mostrò superiore? Nè Glauco si scandalezzò di esser lodato più degl’iddii protettori degli atleti, nè quegl’iddii si vendicarono con Glauco, col poeta, che l’aveva empiamente lodato; ma tutti e due vennero in fama ed onoranza fra i Greci, Glauco per la forza, ed il poeta per altre sue canzoni, e per questa ancora. Non ti maravigliare adunque se anch’io volendo fare un paragone, che era necessario per lodare, mi sono servito d’un esempio un po’ alto, che la ragione stessa mi suggeriva. Ma giacchè toccasti dell’adulazione, e che aborrisci gli adulatori, io ti lodo, nè potrei altramente: ma ti voglio distinguere e definire l’opera del lodatore, e la disorbitanza dell’adulatore. L’adulatore adunque, essendochè loda per utile proprio e sicura poco della verità, crede dover soprallodare ogni cosa, spacciando bugie e aggiungendo molto del suo; sicchè sarà pronto a dire che Tersile era più bello d’Achille; e Nestore il

  1. Questo Glauco, di Carisio, città di Negroponte, era un contadino di sì dure forze che un dì, uscitogli dell’aratolo il vomere, vel conficcò con un pugno. Il padre, vedendo tanta gagliardia, lo fece ammaestrare nella lotta o nel cesto; e lo menò in Olimpia, dove abbattè tutti gli avversari, e riuscì un terribile atleta. Pindaro ne cantò in un’ode che è andata perduta, ed alla quale si accenna appresso.