Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 2.djvu/279

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sopra le imagini. 271

quella lode scandalosa di assomigliare alle dee una donna. Ma io, la verità vuole esser detta, io non alle dee ti ho assomigliata, leggiadrissima donna, ma alle opere di valenti artefici, fatte di pietra, di bronzo, d’avorio. Non parmi empietà paragonare uomini a cose fatte da uomini: salvo se tu non istimi che sia Pallade la fattura di Fidia, o sia Venere celeste la statua che Prassi tele fece in Guido non ha molti anni. Ma bada che non sia un’irreverenza avere questo concetto degl’iddii, le cui vere immagini io credo che ingegno umano non possa ritrarre. Se poi io ti ho agguagliata a quelle dee, non è colpa mia sola, se v’è colpa, nè io primo ho tenuto questa via, ma molti e bravi poeti, e massimamente il tuo cittadino Omero, il quale ora io chiamerò per mio avvocato, o pure dovrà anch’egli essere condannato con me. Dimanderò dunque a lui, più che a lui, a te, che si bene ricordi tutti i suoi versi più belli: che ti pare quando egli dice della cattiva Briseide, che simile all’aurea Venere piangeva Patroclo? E poco appresso, come se fosse stato poco l’averla assomigliata a Venere, soggiunge:

       Sì dicea lagriinando la donzella
       Pari alle dive.

Quando egli dice così, forse abborrisci anche lui, e getti il libro, gli concedi di spaziarsi libero nella lode? E se anche non glielo concedi tu, gliel’hanno conceduto tante età, nelle quali non si è trovato uno che l’abbia incolpato di questo, neppure colui che osò flagellarne la statua, nè colui che ne postillò i versi bastardi.1 Ed a lui sarà permesso di paragonare all’aurea Venere una donna barbara che piange, ed io (non dirò della tua bellezza, che non vuoi udirne) io non potrò paragonare a statue d’iddii una donna di lieto volto e di facile sorriso, cose che gli uomini hanno simili agli Dei? Nel figurare Agamennone vedi quanto risparmiò gli Dei, e come ne distribuì le immagini con simmetria, dicendolo negli occhi e nel capo simile a Giove, nel cinto a Marte, nel petto a Nettuno, dando a ciascun membro dell’uomo un’immagine d’un gran

  1. Il primo fu Zoilo, o, come vuole lo scoliaste, Zenodoto: il secondo Aristarco.